domenica 24 maggio 2009

UMBERTO VERONESI: sul rispetto dei malati in ospedale


«Si deve scegliere, come in albergo
«Mai più cena alle sei negli ospedali»



Orari e menu, l'appello a sostegno dell’iniziativa di Gualtiero Marchesi. È da anni che mi batto per una riforma radicale del sistema ospedaliero e ho applicato le mie idee all’Istituto europeo di oncologia, andando controcorrente 20 anni fa.

Prima di tutto biso­gna innovare il principio stesso dell’ospedale, che non deve più ruotare in­torno alle esigenze del medico, ma a quelle del malato.
Di conseguenza il luogo di cura deve diventare an­che luogo di accoglienza in grado di offrire un livel­lo dignitoso di comfort alberghiero.

L’alimentazione durante il ricovero è parte di que­sta nuova concezione. Ogni malato ricoverato do­vrebbe poter scegliere da un menu i cibi che gli so­no più graditi (fra quelli consentiti ovviamente) proprio come avviene in un albergo. La possibilità di scelta è diventata fondamentale anche per il ri­spetto delle etnie e degli usi alimentari diversi della popolazione. È importante anche che il cibo sia pre­sentato bene, con le stoviglie e i servizi adeguati. Inoltre bisogna abbandonare l’inspiegabile rigidi­tà degli orari, per cui i pasti vengono serviti ad ore improbabili, che nulla hanno a che vedere con le consuetudini del malato. Perché mai in ospedale si dovrebbe avere la prima colazione alle 6 del matti­no, il pranzo alle 11 e la cena alle 6, quando in nessu­na regione italiana si mangia a questi orari? È impor­tante mantenere il più possibile i ritmi di vita della collettività da cui il paziente proviene per non farlo sentire «confinato», aggiungendo così ulteriore pe­so al dramma della malattia e del ricovero.

Non ho mai potuto accettare che una persona ab­bia un certo status e una certa dignità quando è in salute, ma poi lo perda nel momento in cui viene ricoverato. Ancora oggi in molti ospedali al pazien­te si dà del tu, anche se è una persona anziana, o peggio, ci si rivolge a lui con il nome del letto o del­la stanza che occupa. Dovrebbe essere esattamente il contrario: una persona malata, grave o meno, si trova in una posizione di debolezza e smarrimento e per questo andrebbe maggiormente rispettata ed aiutata.
Il comfort all’interno dell’ospedale contribuisce alla buona terapia, perché tiene conto della dimen­sione psicologica imprescindibile di ogni malattia che richieda un ricovero. Per questo considero fon­damentale anche che gli ospedali abbiano camere singole. Nessuno condividerebbe una camera con uno sconosciuto in albergo e non dovrebbe essere costretto a farlo proprio, in ospedale, quando avreb­be più bisogno di riservatezza.

Umberto Veronesi

[dal corriere della sera del 23 maggio 2009 ]

2 commenti:

  1. Parlo da infermiera.
    -sugli orari dei pasti,non mi sento d'accordo:la colazione ,nelle realtà da me conosciute ,si è sempre passata intorno alle h 8 e mai sarebbe proponibile alle h 6! Per il pranzo e la cena,gli orari purtoppo si aggirano intorno alle 11.30-12.oo e 18.30-19.00. Non credo che ciò implichi un grande disagio per il paziente,è un pò come quando si è in albergo,gli orari purtroppo non possono essere affini a quelli delle abitudini del singolo o della maggioranza,altrimenti sarebbe una baraonda! Per i tempi di degenza che tendono sempre più ad essere brevi,si può credo, superare il problema e passarci sopra.
    -Mi trovo invece pienamente all'unisono per quanto riguarda il dare del tu,se non su richiesta specifica da parte del singolo paziente che lo desiderasse e senz'altro non và minimamente appellata una persona con il n del letto che occupa,con il n della stanza,men che meno con la patologia principale di cui è affetta,ma ciò è questione di buon gusto , di formazione e rispetto da parte degli operatori sanitari tutti;
    -bene anche sulle camere singole,mi trovo d'accordo,i punti di incontro ed eventualmente di ritrovo dovrebbero essere fuori dalle camere stesse di degenza, all'interno della corsia sarebbero auspicabili,ma anche qui vi sarebbe da capire perchè chi progetta gli ospedali fa grandi sale di accesso ed entrata,ma poi per risparmiare spazio,taglia sulle misure dei singoli reparti.
    A tutto ciò aggiungerei,la priorità di cambiare il modo di comunicazione tra operatore sanitario e degente:è una carenza gravissima su cui riflettere e portare riparo quanto prima, perchè i pazienti si lamentano spesso della male comunicazione che passa nelle corsie e che spesso gli è riservata a loro ed ai parenti e persone di riferimento e sopratutto del poco tempo a loro preposto quando invece è ormai risaputo che il potere della mente ed dei pensieri annessi influiscuno enormemente sulle cure e quindi sulla guarigione del corpo e della psiche del 'povero'(in questo caso) paziente.

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  2. Cara Rita, condivido tutto ciò che hai scritto e sono d'accordo anche con le cose di Veronesi sui pasti: la filosofia che dovrebbe passare è quella che il malato venga al centro della organizzazione e non che sia lui a doversi adattare alla struttura.
    Se troviamo le giuste sinergie proporrei di fare di questa idea una nostra bandiera per ottenere l'impegno in tal senso dell'assessore alla sanità dell'Umbria.
    CREDO NELLA PARTECIPAZIONE E CREDO CHE SIA IL MOMENTO PER FARLA VALERE.

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